La Cantina del Nebbiolo ha la sua sede a Vezza d’Alba, nel cuore del Roero, ma accoglie nel suo tessuto associativo anche viticoltori delle Langhe.
Roero e Langhe costituiscono un ampio territorio di colline e di valli, con una sua profonda uniformità, accompagnata da alcune differenze ambientali e di tradizione colturale che ne caratterizzano i singoli spazi.
Sono un mondo ininterrotto di colline le Langhe e il Roero, attraversato da un fiume “il Tanaro” che solo apparentemente le divide in modo casuale.
È vero che questo fiume nel passato correva più a nord di questo territorio e quindi lo sfiorava appena, ma adesso, dopo le modificazioni territoriali intercorse circa 250.000 anni fa, il suo corso divide in modo preciso le colline delle Langhe da quelle del Roero, sottolineandone appieno le diversità pedologiche, ambientali, strutturali e di conformazione.
A grandi linee, possiamo dire che Langhe e Roero sono un po’ come due mondi accostati, che hanno una loro fisionomia e una loro dimensione specifica.
Ambedue le zone fanno riferimento come origine all’Era Terziaria, vale a dire da 65 a 1,8 milioni di anni fa. Le Langhe, però, sono più antiche e traggono la loro origine nel periodo del Miocene, ovvero tra 23 e 5,3 milioni di anni fa. Il Roero, invece è decisamente più giovane, visto che è emerso dalle acque del Mare Padano tra 5,3 e 1,8 milioni di anni fa, nel periodo del Pliocene.
Questa differente origine geologica, ovviamente, si riflette sui caratteri dei terreni e dei prodotti che da essi nascono: nelle Langhe i terreni sono più compatti, più duri, fatti soprattutto di calcare e argilla. Nel Roero, accanto alle medesime componenti strutturali di base, troviamo frequenti presenze sabbiose che rendono il suolo meno compatto.
Le lunghe colline che caratterizzano i panorami delle Langhe nel Roero sono spesso dominate da colli più appuntiti, fatti a cocuzzolo, che rendono spazi e ambienti ancora più difficili da percorrere e da coltivare.
La vite, di solito, è adagiata con i suoi lunghi filari sui versanti delle colline, mentre le sommità dei cocuzzoli spesso sono dominati dal bosco, proprio per la ripidità dei terreni che renderebbe problematico il passo dell’uomo e la stabilità dei mezzi meccanici per le lavorazioni.
Seguendo dall’alto il corso del Tanaro, il Roero occupa lo spazio che sta alla sua sinistra e si sviluppa per 19 comuni della provincia di Cuneo, con Canale che fa da capofila.
Le prime fasce, quella ancora affacciata sul Tanaro e quelle immediatamente successive, sono decisamente collinari. Poi, man mano che si sale in direzione nord verso la provincia di Torino al posto delle colline c’è un altopiano ondulato, che sostituisce la coltivazione della vite con prati, seminativi e orti.
Nel Roero, la vite non è da sola. Anzi, nel passato come adesso, deve competere gli spazi con altre colture, gli alberi da frutto, le coltivazioni orticole, i prati per l’allevamento bovino, l’apicoltura. Condividendo gli spazi con altre coltivazioni, la vite crea un paesaggio variegato, più ricco ed eterogeneo, che scandisce l’alternanza delle stagioni con colori più complessi per le colture che si alternano sui fianchi collinari.
Nel vigneto, prevalgono ancora le varietà a frutto nero, Nebbiolo e Barbera in particolare, rispetto a quelle a grappoli bianchi, anche se i recenti successi dell’Arneis e della Favorita hanno aumentato la quota di questi ultimi. Qui, il Nebbiolo è protagonista due volte: con il Roero Docg, un vino rosso che deriva al 95% da questa varietà, con la possibilità di completare con un 5% di altri vitigni a frutto nero autorizzati; e, poi, il Nebbiolo d’Alba Doc, un altro vino rosso che si affida alla varietà per il 100% e condivide le fortune con altri paesi collocati al di là del Tanaro, nelle Langhe.
Alla destra del Tanaro, subito in faccia alle prime colline del Roero, si colloca la piccola zona del Barbaresco: tre paesi (Barbaresco, Neive e Treiso) e la frazione di San Rocco Seno d’Elvio della città di Alba. Anche qui il Nebbiolo ha la sua culla speciale, un grande spazio collinare di circa 700 ettari dove questo vitigno aristocratico regala il Barbaresco, uno dei più grandi vini rossi del mondo intero.
Qui domina la lunga collina, con ripidità che si accentuano man mano che salgono le altitudini. Le valli si fanno più strette e bisogna coltivare il Nebbiolo solo sugli spazi più assolati, come dice il Disciplinare del Barbaresco, sui versanti est, sud e ovest.
Altrove, ci sono altre varietà che completano la fisionomia del vigneto: due a frutto nero, Barbera e Dolcetto, e poi il Moscato, il vitigno bianco più coltivato, seguito dallo Chardonnay, che qui ha colmato la lacuna di una varietà bianca di grande vocazione vinicola. Non c’erano legami stretti con l’Arneis e la Favorita e così, nel cuore degli anni Ottanta del Novecento, le scelte dei viticoltori sono andate allo Chardonnay, ribadendo quel parallelismo che avvicina le colline delle Langhe alla Borgogna vitivinicola.
Le colline del Barbaresco hanno terreni compatti e piuttosto omogenei tra loro: solo un’analisi più profonda può dividere in due parti questa zona per la tipologia dei terreni.
Rimaniamo in Era Terziaria e periodo del Miocene, ma le colline del paese di Barbaresco e quelle di Neive addossate a Barbaresco appartengono al Tortoniano, cioè sono fatte di marne bluastre, molto sode e compresse, che i geologi definiscono di Sant’Agata Fossili. Qui si producono i vini Barbaresco più strutturati e longevi.
Nella zona restante (tutto Treiso e San Rocco Seno d’Elvio e la parte di Neive che va verso l’area del Moscato di Mango e Castiglione Tinella) i terreni sono ancora marnosi, ma il riferimento è al Tortoniano-Serravalliano, con le cosiddette Formazioni di Lequio, dove le marne grigie sono spesso inframmezzate da sabbie. Terreni, quindi, meno strutturati e compatti, dove si producono vini di minore potenza, ma di grande ricchezza olfattiva e di spiccate armonie.
Restando sempre alla destra del fiume Tanaro, ma procedendo in direzione sud-ovest, dopo la città di Alba si apre una grande vallata a tratti pianeggiante che va verso l’area del Barolo. Un territorio più grande rispetto a quello del Barbaresco, ma altrettanto prestigioso per la vocazione al vigneto e la produzione di vino di qualità. Qui i paesi sono undici: alcuni hanno tutto il loro territorio nella zona di origine del Barolo e sono Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e Barolo.
Gli altri otto (Diano d’Alba, Grinzane Cavour, Monforte d’Alba, Novello, Cherasco, La Morra, Verduno e Roddi) hanno solo una parte del territorio nella zona del Barolo. Visti dall’alto, costituiscono come una bella corona attorno ai tre più centrali e compongono con loro il grande vigneto del Barolo, circa 2 mila ettari dedicati al Nebbiolo.
Accanto al Nebbiolo, il vigneto in questa zona accoglie anche altre varietà, sia a frutto nero che bianco: tra le prime spiccano il Dolcetto, il Barbera e il Pelaverga piccolo (quest’ultimo solo a Verduno, Roddi e La Morra); tra le seconde, tornano il Moscato e lo Chardonnay, qualche volta anche Arneis e Favorita, ma a Novello soprattutto c’è una proposta preziosa, la Nas-cetta, una varietà che si sta facendo apprezzare per l’ampio complesso olfattivo e la capacità di resistere agli anni che regala ai suoi vini.
Dal punto di vista morfologico, anche nella zona del Barolo prevale la collina allungata, a conferma dell’origine celtica del termine “Langa” ovvero “lingua di terra”. Le valli sono tendenzialmente strette e anche qui i versanti più apprezzati per la coltivazione del vigneto restano i più solatii, ovvero est, sud e ovest e le loro infinite combinazioni.
Il suolo, anche nella zona del Barolo, è compatto e fortemente dominato dalle marne dove prevalgono calcare e argilla.
L’origine geologica resta quella del Barbaresco, l’Era Terziaria e il Periodo del Miocene, ma la composizione dei suoli è differente a seconda della collocazione spaziale. Sostanzialmente, è la grande valle che unisce la piana di Alba al paese di Barolo a segmentare la zona: procedendo verso Barolo, le colline che stanno alla sinistra e che appartengono ai paesi di Diano d’Alba, Grinzane Cavour, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba presentano suoli più antichi e solidi, risalenti all’Elveziano (tra 16 e 13,8 milioni di anni fa). Li compongono marne grigie molto compatte, che costituiscono la struttura portante del suolo, capaci di produrre vini Barolo di grande ampiezza e struttura, decisamente propensi a resistere al tempo.
Le colline, invece, collocate alla destra della grande valle, ovvero i paesi di Barolo, Novello, La Morra, Roddi, Verduno e Cherasco, presentano terreni più giovani, appartenenti al Tortoniano (tra 11,6 e 7,2 milioni di anni fa). In questo caso, le marne sono azzurre e compatte, praticamente come nella zona del Barbaresco, e producono vini Barolo meno decisi e corposi, ma tendenzialmente più eleganti e con un corredo aromatico più pronto.
E, se volessimo essere ancora più analitici, potremmo dire che nel comune di Barolo, la lunga collina dei Cannubi che parte dal paese e si adagia in direzione nord al centro della valle, segna l’incontro tra i due periodi geologici (Elveziano e Tortoniano) e crea la sintesi ottimale tra i due tipi di suolo, per un Barolo di struttura e potenza che non rinuncia all’armonia e all’eleganza.